Regia: Celine Song
Cast: Greta Lee, Teo Yoo, John Magaro
Na-young e Hang-seo sono fidanzatini alle scuole medie, ma i genitori di Na Young devono trasferirsi da Seoul a New York. Da questa dolorosa separazione trascorrono dodici anni, dopo i quali Na-young, che ora si chiama Nora, e Hang-seo riescono a ritrovarsi e a comunicare via Skype. Di fronte all’impossibilità di incontrarsi nello stesso luogo, Nora sceglie di interrompere la relazione a distanza e concentrarsi sulla propria carriera di scrittrice a New York. Dopo altri dodici anni, Hang-seo vola a New York per vedere Nora.
Chi siamo? Chi siamo stati? Chi avremmo potuto essere se le strade non si fossero divise? L’opera prima della drammaturga Céline Song, riflette in modo non banale su una questione esistenziale tanto basica da rappresentare un grande rischio. La sua scrittura, e un pensiero formale molto consapevole riescono però a conferire a “Past Lives” un’apparente naturalezza che lo rende un film in cui è facile riconoscersi e al quale, proprio per questo, ci si abbandona con un piacere ovattato e malinconico. Le intenzioni di Song sono chiare fin dalla prima inquadratura, quando mette in scena frontalmente i tre personaggi del film seduti al bancone di un bar, avvolti in una luce calda e soffusa. La sequenza funziona esattamente come un’apertura del sipario: un’introduzione che attiva la posizione dello spettatore e che dichiara quanto la questione del punto di vista diverrà fondamentale. Con un salto indietro nel tempo, ci viene allora presentata la storia di Na Young – emigrata appena dodicenne dalla Corea al Canada al seguito dei genitori artisti – e della sua relazione con il compagno di scuola Hae Sung. Le ricadute di questo primo amore innocente e fanciullesco lungo gli anni sono la strada che Song sceglie di percorrere per riflettere sui rapporti, sui sentimenti, sugli accidenti e sulle scelte della vita. Non senza riferimenti autobiografici, il ritratto di Na Young diventa anche il modo che la regista sceglie per interrogarsi su cosa costruisca l’identità di chi appartiene a più culture, di chi si scopre intimamente guidato da sollecitazioni e retaggi non sempre concordi, non sempre facili da conciliare, non per forza pacificati. Una molteplicità che è una preziosa ricchezza ma anche un’ipoteca complessa da gestire.Con i toni pacati ma mai anodini della sua scrittura e con le forme eleganti e contemporanee di un cinema estetizzato ma tanto intelligente e misurato da non suonare artificiosamente leccato, Song riesce a trasmettere la complessità di una condizione emotiva, psicologica e culturale. Una complessità che ci parla della memoria atavica ma anche, molto, del nostro tempo, dell’essere fatalisti o al contrario concentrati nell’azione; di quanto la tecnologia diventata quotidiana possa riscrivere i tempi e gli spazi delle nostre vite e dell’infinità di sguardi che su di esse potremmo portare. Elaborando l’artificio narrativo classico della molteplicità dei punti di vista e una scrittura che intreccia i tempi e le prospettive in modo mai meccanico, Song si interroga e ci interroga su come si possa diventare spettatori della propria vita – e delle vite degli altri – quando ci si comincia a fare domande. E soprattutto di quali e quante possano essere queste domande, infinite come infinite sono le possibilità delle vite passate (e di quelle future).
Giovedì 19 Set.
Lunedì 23 Set.
- Giovedì: 18.30 - 21.15
- Lunedì: 16.00 - 18.30 - 21.15
Drammatico
106 minuti
Incluso in abbonamento